Ghiaccio

A volte la sola fotografia non basta a raccontare una storia. Non basta perché di storie di migranti ne
sentiamo e vediamo tutti giorni, e allora l’unico modo per provare a dire qualcosa di nuovo, di
diverso, su di un tema molto dibattuto è immergersi dentro di esso. Lo si può fare con la fotografia,
certamente, ma la storia di Kebba, Seedia, James, Edward, Lamin e Joseph, è fatta di silenzi, di
suoni, di movimenti, di parole, ed è per questo che ho deciso di provare a raccontarla utilizzando un
mezzo diverso da quello che mi è più usuale. Una sfida, sicuramente, ma anche nuovi stimoli, nuovi
metodi di lavoro. La domanda che mi faccio spesso, da quando ho iniziato a lavorare a questa storia
nel giugno 2017, è: perché voler raccontare in un documentario la vita di questi ragazzi? Perché la
loro e non quella di altri migranti arrivati sul territorio italiano? E la risposta è semplice: perché
questi ragazzi sono la risposta a chi, in Italia, e nel resto del mondo, pensa che i richiedenti asilo
siano dei “parassiti” in grado, solamente, di sfruttare le risorse che gli Stati ospitanti mettono loro a
disposizione.

Edward, Kebba, Lamin, James, Joseph, Seedia, da quando sono arrivati in Italia hanno studiato,
hanno imparato una lingua nuova, preso dei diplomi, fatto dei corsi professionali, imparato nuovi
mestieri, firmato contratti di lavoro, anche a tempo indeterminato. E nonostante questo non sanno
cosa sarà del loro futuro. E sì, hanno imparato anche a giocare a curling, uno sport del quale non
conoscevano nemmeno l’esistenza. E sono diventati anche bravi, competendo nel campionato di
Serie C e arrivando ai playoff. E hanno fatto tutto questo affrontando solitudine, noia, malinconia.
Spesso chiusi in case buie, con poco o nulla da fare, uscendo per andare a lezione, o a qualche
corso. O agli allenamenti al palazzetto del ghiaccio di Pinerolo.
Spesso mi sono trovato a pensare a cosa può voler dire essere un richiedente asilo in Val Pellice.
Cosa può voler dire vivere in un limbo in attesa di una risposta che segnerà in maniera drastica il
loro futuro e la loro vita, e vivere in questo limbo in un ambiente che non è di certo dei più ospitali.
In paesi in via di spopolamento, sferzati per diversi mesi all’anno da un vento gelido, dove
d’inverno nevica e le temperature vanno sotto zero. E provando a immedesimarmi in loro sono
arrivato a capire che la storia di questi ragazzi non è solo una storia di migrazione, di integrazione,
ma è qualcosa di più. È una storia di adattamento, di tenacia, di resistenza. È una testimonianza di
come la forza interiore di persone che non hanno più nulla li possa portare ad affrontare dei percorsi
impensabili. Una testimonianza che credo meriti di essere raccontata.